L’amante giapponese – I. Allende

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Era gelosa della sua indipendenza, priva di sentimentalismo e di attaccamento alle cose materiali, sembrava indipendente dagli affetti, fatta eccezione per il nipote Seth, e si sentiva così sicura di sé da non cercare sostegno né in Dio né nello zuccheroso stato di beatitudine come alcuni ospiti di Lark House, che si professavano spirituali e andavano in giro sbandierando come raggiungere uno stadio superiore. Alma aveva i piedi saldamente a terra. Irina immagino che la sua alterigia fosse un modo per difendersi dalla curiosità altrui, e la semplicità una forma di eleganza che poche donne potevano imitare senza sembrare sciatte.

Portava i capelli, bianchi e folti, tagliati a ciocche irregolari che si pettinava con le dita. Come unico tocco frivolo si dipingeva le labbra di rosso e usava una fragranza maschile di bergamotto e arancia; al suo passaggio quell’aroma fresco si sostituiva al vago odore di disinfettante, vecchiaia e occasionalmente di marijuana di Lark House. Aveva un naso importante, una bocca orgogliosa, le ossa lunghe e mani robuste da operaio; occhi castani, grandi sopracciglia scure e occhiaie violacee, che le conferivano un’aria insonne e che gli occhiali dalla montatura nera non riuscivano a nascondere. La sua aura enigmatica incuteva soggezione; nessuno del personale si rivolgeva a lei con il tono paternalistico generalmente usato con gli altri residenti e nessuno poteva vantarsi di conoscerla, fino a quando Irina Bazili riuscì a penetrare nella fortezza della sua intimità.

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Durante i primi mesi del 1939 versò la riserva quasi completa delle sue lacrime e poi pianse di nuovo solamente in rarissime occasioni. Imparò a rimuginare sulle sue pene da sola e con dignità, nella convinzione che a nessuno interessassero i problemi altrui e che i dolori taciuti finissero col diluirsi. Aveva interiorizzato gli insegnamenti filosofici del padre, uomo dai princìpi rigidi e inappellabili, fiero di essersi fatto da solo e di non dovere niente a nessuno, cosa non del tutto vera. La ricetta semplificata del successo con cui Mendel aveva assillato i figli sin dalla culla consisteva nel non lamentarsi mai, non chiedere nulla, sforzarsi di primeggiare in tutto e non fidarsi di nessuno. Alma avrebbe dovuto sopportare il peso di questo terribile sacco di pietre per diversi decenni, fino a quando l’amore non l’aiutò a liberarsi di alcune di esse. Il suo atteggiamento stoico contribuì a quell’aria di mistero che la caratterizzò fin da bambina, ben prima di diventare depositaria di segreti che poi avrebbe dovuto a lungo custodire.

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«L’infanzia è una tappa naturalmente disgraziata dell’esistenza, Lillian. La storia che i bambini meritano la felicità l’ha inventata Walt Disney per far soldi.”

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Irina imparava molto sia dai vecchi, sia dagli anziani, quasi tutti sentimentali, divertenti e senza paura di risultare ridicoli; rideva con loro e a volte piangeva per loro. Quasi tutti avevano avi. to vite interessanti o se le inventavano. Se sembravano molto smarriti, in generale era perché sentivano poco e male. Irina si assicurava sempre che non mancassero le pile per gli apparecchi acustici. “Qual è la cosa peggiore dell’invecchiare?” domandava loro. Non pensavano all’età, rispondevano; prima erano stati adolescenti, poi avevano compiuti i trenta, i cinquanta, i settanta, senza pensare agli anni; perché avrebbero dovuto farlo adesso? Alcuni avevano grossi limiti, facevano fatica a camminare e a muoversi, ma non desideravano andare da nessuna parte. Altri erano distratti, confusi e smemorati, ma ciò turbava più i loro familiari e chi li assisteva. Catherine Hope insisteva sul fatto che i residenti del secondo e del terzo livello fossero attivi e a Irina spettava il compito di tener vivo il loro interesse e di far sì che si distraessero e rimanessero in contatto con la realtà. “A qualsiasi età è necessario uno scopo nella vita. E la cura migliore contro molte malattie,” sosteneva Cathy. Nel suo caso lo scopo era sempre stato quello di aiutare gli altri e non era cambiato dopo l’incidente.

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Lark House si era trasformata nella sua dimora e i residenti con i quali conviveva giornalmente rimpiazzavano i suoi nonni. La commuovevano quegli anziani lenti, goffi, acciaccati, emaciati… Mostrava un’illimitata disponibilità d’animo nei confronti dei loro problemi, non le costava ripetere mille volte la stessa risposta alla stessa domanda, le piaceva spingere una sedia a rotelle, incoraggiare, aiutare, con. solare. Imparò a dirottare gli impulsi violenti che a volte si impadronivano di loro come temporali passeggeri, e non spaventavano l’avarizia o le manie di persecuzione di cui alcuni soffrivano come conseguenza della solitudine. Cercava di comprendere cosa significasse portarsi dentro l’inverno, l’insicurezza a ogni passo, la confusione davanti a parole che non si sentono bene, l’impressione che il resto dell’umanità sia stressata e parli troppo rapidamente, il vuoto, la fragilità, la fatica e l’indifferenza per ciò che non ti riguarda diretta-mente, figli e nipoti compresi, la cui assenza non pesa più come prima e bisogna fare uno sforzo per ricordarli. Provava tenerezza per le rughe, le dita deformate e la vista indebolita. Immaginava come sarebbe stata lei da vecchia, da anziana.

[…]

Desiderava essere come Alma e vivere in una realtà affrontabile in cui i problemi avevano una causa, un effetto e una soluzione, dove non esistevano esseri terrificanti acquattati nei sogni, né nemici lussuriosi che la spiavano ovunque.

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Qualsiasi altro uomo meno ostinato e innamorato di Seth si sarebbe dato per vinto da tempo, ma lui imparò a dominare la sua veemenza e si adattò al ritmo da tartaruga imposto da Irina. A nulla serviva accelerare, perché al minimo accenno di intrusione, lei indietreggiava, e poi passavano settimane prima che lui recuperasse il terreno perduto. Se si sfioravano in modo casuale, lei si ritraeva subito, e se lui lo faceva di proposito, lei si allarmava. Seth cercò invano la ragione di tanta diffidenza, ma lei aveva sigillato il suo passato.

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Questa settimana in cui non siamo riusciti a vederci è stata molto lunga.

[…] Ichi

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“Tanto per iniziare, non abbiamo mai dovuto scontrarci per problemi domestici, di figli, di soldi o dei molti altri che provocano le liti tra le coppie. Ci vediamo solamente per amarci. E poi, Lenny, una relazione clandestina deve essere difesa, è fragile e preziosa. Tu lo sai meglio di chiunque alto ossi amo nati entrambi con mezzo secolo in anticipo, Alma. Siamo esperti in relazioni proibite.

“Io e Ichimei abbiamo avuto un’opportunità quando eravamo molto giovani, ma io non ho osato. Non sono stata ca. pace di rinunciare alla sicurezza e sono rimasta intrappolata nelle convenzioni. Erano gli anni cinquanta, il mondo era molto diverso. Ti ricordi?”

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“Non sono morte, Lenny. Ora sono più vive che mai. Succede con l’età: le storie del passato prendono vita e ci si si incollano alla pelle. Sono felice che passeremo insieme i prossimi anni.

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Iniziamo a invecchiare nel momento in cui nasciamo, cambiamo giorno dopo giorno, la vita è un continuo fluire. Ci evolviamo. L’unica cosa diversa è che adesso siamo un po’ più vicini alla morte. E cosa c’è di male in questo? L’amore e l’amicizia non invecchiano.

Ichi

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L’esercizio metodico della rievocazione per il libro demi pare in di giovamento per Alma Belasco, minacciata com’era alla sua età dalla fragilità della mente. Prima si perdeva in labirinti e, se voleva ricordare un qualche evento preciso, non vi riusciva, ma per dare a Seth risposte soddisfacenti, si mise d’impegno a ricostruire il passato con un certo ordine, invece che con salti e capriole, come era solita procedere con Lenn Beal nei momenti d’ozio a Lark House. Visualizzava scatole di colori diversi, una per ogni anno della sua esistenza, e ci metteva dentro le sue esperienze e i suoi sentimenti. Impilava le scatole nel grande armadio a tre ante, dove piangeva disperatamente a sette anni nella casa degli zii. Le scatole virtuali traboccavano di nostalgia e di qualche rimpianto; lì erano ben custoditi il terrore e le fantasie dell’infanzia, gli eccessi della gioventù, le pene, le traversie, le passioni e gli amori del la maturità. Con animo lieve, perché cercava di perdonarsi tutti gli errori, tranne quelli che avevano provocato sofferenza ad altre persone, incollava gli scampoli della sua biografia e li insaporiva con tocchi di fantasia, concedendosi esagerazioni e falsità, visto che Seth non poteva confutare il contenuto dei suoi ricordi. Più che per il desiderio di mentire, lo faceva per tenere in esercizio l’immaginazione. Ichimei, tuttavia, lo conservava per sé, senza  sospettare che alle sue spalle Irina e Seth stavano indagando sulla cosa più preziosa e segreta della sua esistenza, l’unica cosa che non poteva rivelare, perché, se lo avesse fatto, Ichimei sarebbe sparito e in quel caso non ci sarebbe stata ragione per continuare a vivere.

Irina era il suo copilota in quel volo nel passato. Fotografe e documenti passavano per le sue mani, era lei a classifficarli, lei che a mano a mano preparava gli album. Le sue domande aiutavano Alma a ritrovare la strada quando perdeva il filo in vicoli senza uscita; a questo modo si schiari e definì la sua vita. Irina si immerse nell’esistenza di Alma come se si trovassero insieme in un romanzo vittoriano: la signora di buona famiglia e la sua dama di compagnia intrappolate nel tedio di eterne tazze di tè in una casa di campagna. Alma sosteneva che tutti possiedono un giardino interiore in cui rifugiarsi, ma Irina non desiderava affacciarsi sul suo; preferiva sostituirlo con quello di Alma, più amabile. Conosceva la bambina malinconica arrivata dalla Polonia, la giovane Alma di Boston, l’artista e la moglie, sapeva dei suoi vestiti e dei suoi cappelli preferiti, del primo laboratorio di pittura, in cui lavorava da sola sperimentando con pennelli e colori prima che si definisse il suo stile, delle sue vecchie valigie da viaggio di pelle consunta ricoperte da decalcomanie ormai inutilizza-te. Quell’immagine e quelle esperienze erano nitide, precise, come se lei fosse vissuta in quell’epoca e fosse stata insieme ad Alma in ognuna di quelle esperienze. Le sembrava meraviglioso che fosse sufficiente il potere evocatore delle parole o di una fotografia per renderle reali e permetterle di impadronirsene.

Alma Belasco era stata una donna energica, attiva, implacabile con le sue debolezze come con quelle degli altri; ma gli anni la stavano ammorbidendo; manifestava più pazienza con il prossimo e con se stessa. “Se non mi fa male niente, significa che mi sono svegliata morta,” diceva al risveglio, quando doveva allungare i muscoli a poco a poco per evitare i crampi. Il suo corpo non funzionava come prima, doveva ricorrere a qualche strategia per evitare le scale o indovinare il senso di una frase quando non la sentiva bene; tutto le costava più fatica e più tempo, c’erano cose che semplicemente non poteva più fare, come guidare di notte, fare benzina, aprire usa aveva bisogno di Trina. La sua mente, invece, per quesito aveva bisogno di Irina. La sua mente, invece Leroida, ricordava il presente bene come il passato, a meno une non cedesse alla tentazione del disordine; non le veniva. no meno né l’attenzione né il raziocinio. Poteva ancora disegnare e aveva la stessa sensibilità per i colori, andava in laboratorio, ma dipingeva poco, perché si stancava facilmente, preferiva delegare a Kirsten e agli assistenti. Non faceva cenno alle sue limitazioni, le affrontava senza tante storie, ma Irina le conosceva. Le sembrava ripugnante il fascino che i vecchi provavano per le loro malattie e i loro acciacchi, argo. mento che non interessava nessuno, nemmeno i medici. “L’opinione diffusa, che nessuno osa esprimere in pubblico, è che noi vecchi siamo di troppo, occupiamo spazio e risorse che spettano alle persone produttive,” diceva. Non riconosceva molti soggetti delle fotografie, gente insignificante del suo passato che poteva essere eliminata. Nelle altre, quelle che Irina incollava negli album, poteva rivivere le tappe della sua vita, il trascorrere degli anni, compleanni, feste, vacanze, diplomi e matrimoni. Erano momenti felici, nessuno fotografa i dolori. Lei compariva poche volte, ma all’inizio dell’autunno Irina ebbe modo di conoscere meglio la donna che Alma era stata attraverso le foto che Nathaniel le aveva scattato; facevano parte del patrimonio della Fondazione Belasco ed erano state scoperte dal circuito dell’arte di San Francisco. A causa loro un giornale definì Alma “la donna meglio fotografata della città”.

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Preferiva essere vista come la modella di allora e non come l’anziana del presente

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“Sai che cosa aiuta maggiormente nella disgrazia, Irina? Parlare. Nessuno può stare al mondo da solo. Per quale motivo credi che abbia messo in piedi l’ambulatorio del dolore

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Perché il dolore condiviso è più sopportabile. L’ambulatorio serve ai pazienti, ma più ancora serve a me. Tutti abbiamo dei demoni nascosti negli angoli più remoti dell’anima, ma se li portiamo alla luce, rimpiccioliscono, si indeboliscono, tacciono e alla fine ci lasciano in pace.

Irina cercò di liberarsi da quelle dita simili a tenaglie, ma non ci riuscì. Gli occhi grigi di Cathy si inchiodarono a lungo nei suoi con tanta compassione e affetto, che non riuscì a sottrarsi. Si lasciò cadere a terra, appoggiò la testa sulle ginocchia nodose di Cathy e si lasciò accarezzare dalle sue mani irrigidite. Nessuno l’aveva più fatto da quando si era separata dai nonni.

Cathy le disse che il compito più importante nella vita era ripulire le proprie azioni, impegnarsi totalmente nel presente, mettere tutta l’energia nel momento e farlo subito, immediatamente. Non si può aspettare, l’aveva imparato dopo l’incidente. Nella sua condizione aveva tempo per portare a termine i suoi pensieri, per conoscersi meglio. Essere, stare, amare la luce del sole, la gente, gli uccelli. Il dolore e le nausee andavano e venivano, così come i disturbi intestinali, ma per qualche ragione non la assorbivano per molto tempo. Aveva, invece, la lucidità per godere di ogni goccia d’acqua della doccia, della sensazione di mani amiche che le lavavano i capelli, della deliziosa freschezza di una limonata in un giorno d’estate. Non pensava al futuro, ma solo al presente.

“Quello che sto cercando di dirti, Irina, è che non devi continuare a rimanere ancorata al passato e spaventata per il futuro. Hai una sola vita, ma se la vivi bene, è sufficiente. L’unica cosa reale è ora, questo giorno. Cosa aspetti per iniziare a essere felice? Ogni giorno conta. Vuoi che non lo sappia?”

“La felicità non è per tutti, Cathy.”

“Certo che lo è. Tutti nasciamo felici. Lungo la strada la vita ci si sporca, ma possiamo pulirla. La felicità non è esuberante né chiassosa, come il piacere o l’allegria. E silenziosa, tranquilla, dolce, è uno stato intimo di soddisfazione che inizia dal voler bene a se stessi. Tu dovresti volerti bene come te ne voglio io, e come te ne vogliono tutti quelli che ti conoscono, in particolar modo il nipote di Alma.

“Seth non mi conosce.

“Non è colpa sua, quel poveretto sono anni che sta cercando di avvicinarsi a te, lo vede chiunque. Se non c’è riuscito è perché tu ti nascondi. Parlami di questo Wilkins, Irina.” 

Irina Bazili aveva una versione ufficiale del suo passato, che aveva costruito con l’aiuto di Ron Wilkins, cui ricorreva per soddisfare la curiosità della gente, quando era impossibile sfuggirvi. Conteneva la verità, ma non tutta, solo la parte tollerabile. A quindici anni il tribunale le aveva assegnato una psicologa che l’aveva avuta in cura per diversi mesi, fino a quando lei non si era rifiutata di continuare a parlare di quanto era successo e aveva deciso di adottare un altro nome, di andarsene in un altro stato e di cambiare domicilio tutte le volte che fosse stato necessario per cominciare di nuovo. La psicologa le aveva ripetuto che i traumi non spariscono solo perché li si disdegna; sono una Medusa tenace che aspetta nell’ombra e alla prima occasione attacca con la sua capigliatura di serpenti. Invece di dare battaglia, Irina scappò; da allora la sua esistenza era stata una fuga continua, fino a quando era arrivata a Lark House. Si rifugiava nel lavoro e nei mondi virtuali dei videogiochi e dei romanzi fantasy, dove lei non era Irina Bazili ma una coraggiosa eroina con poteri magici; ma l’apparizione di Wilkins aveva fatto crollare ancora una volta quel fragile universo di fantasia. Gli incubi del passato erano come polvere, bastava un minimo soffio per sollevarla in mulinelli. Arrendendosi, capì che solo Catherine Hope, con il suo scudo d’oro, poteva aiutarla.

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“E quello cos’è?” domandò Seth, indicando una campanella sulla parete, legata a una corda che attraverso un foro entrava nella stanza di fianco.

“Niente, non preoccuparti.”

“Come niente? Chi vive di là?”

“Tim, il mio amico del bar, il socio con cui lavo i cani. A volte ho degli incubi e se inizio a gridare, lui tira la corda, la campanella suona e io mi sveglio. E un patto che abbiamo fatto.

“Soffri di incubi, Irina?”

“Ovvio. Tu no?”

“No. Però faccio sogni erotici. Vuoi che te ne racconti qualcuno?”

“Dormi, Seth.”

In meno di due minuti Seth aveva obbedito. Irina diede la medicina a Neko, si lavò con la brocca d’acqua e il catino che teneva in un angolo, si tolse i blue-jeans e la camicetta, si mise una maglietta logora e si rannicchiò attaccata al muro, separata da Seth solo dal gatto. Fece molta fatica ad addormentarsi, rimase vigile a causa della presenza dell’uomo di fianco a lei, dei rumori della casa e del tanfo di cavolfiore. L’unica finestrella che dava sul mondo esterno era talmente in alto che si intravedeva solamente uno spicchio di cielo. A volte la luna passava a fare capolino, prima di proseguire per il suo corso, ma questa non era una di quelle notti fortunate

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Seth aveva ancora lo stomaco sottosopra per via del sake, ma gli si era schiarita la mente ed era giunto alla conclusione che il suo dovere di prendersi cura di Irina non poteva essere rimandato. Non ne era innamorato come in precedenza lo era stato di altre donne, con una passione possessiva che non lasciava spazio alla tenerezza. La desiderava e aveva atteso che fosse lei a imboccare l’angusto sentiero dell’erotismo, ma la sua pazienza non aveva dato frutti; era l’ora di passare all’azione o di rinunciare definitivamente a lei. Qualcosa nel suo passato bloccava Irina, non poteva esserci altra spiegazione per quella paura viscerale dell’intimità. Era tentato dall’idea di ricorrere ai suoi investigatori, ma aveva deciso che Irina non si meritava una simile slealtà. Riteneva che a un certo punto si sarebbe fatta luce su quel mistero e quindi ricacciò indietro le domande, anche se ormai era stufo di così tanti riguardi. La cosa più urgente era portarla via dalla topaia dove viveva. Si era preparato le argomentazioni come se avesse dovuto affrontare un collegio di giudici, ma quando se la ritrovò di fronte, con il suo volto da folletto e quel berretto penoso, si dimenticò il discorso e le propose bruscamente di andare a vivere con lui.

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affetto e gratitudine per Seth, vergogna per i propri limiti, disperazione per il futuro. Quell’uomo le offriva un amore da romanzo, ma non faceva per lei. Poteva amare gli anziani di Lark House, Alma Belasco, qualche amico, come il suo socio Tim che in quel momento la guardava preoccupato dal bancone, i nonni stabilitisi nel tronco di una sequoia, Neko, Sofia e gli altri animali domestici della residenza; poteva amare Seth più di chiunque altro nella vita, ma non a sufficienza.

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Prima ancora di vederla sapeva che si trovava lì, la casa era abitata, la sabbia delle pareti sembrava più calda, il pavimento aveva un luccichio satinato che non aveva mai notato, l’aria stessa era diventata più amabile. Lei gli andò incontro con passo incerto, gli occhi gonfi per il sonno e i capelli scompigliati. Seth aprì le braccia e lei, per la prima volta, vi si rifugiò. Rimasero abbracciati per un tempo che a lei sembrò un’eternità e a lui solo un sospiro; poi lei lo prese per mano e lo condusse al divano. “Dobbiamo parlare,” gli disse.

Catherine Hope le aveva fatto promettere, dopo aver ascoltato la sua confessione, che avrebbe raccontato tutto a Seth, non solo per sradicare quella pianta maligna che la stava avvelenando, ma anche perché lui meritava di conoscere la verità.

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furono inutili tutte le sue manovre per attenuare l’enorme vergogna che la opprimeva, vergogna per la stupidità di essere rimasta incinta, per amare Ichimei meno di quanto amasse se stessa, per il terrore della povertà, perché cedeva alla pressione sociale e ai pregiudizi razziali, perché aveva accettato il sacrificio di Nathaniei, per il fatto di non essere all’altezza dell’amazzone moderna che fingeva di essere, per il suo carattere pusillanime e mezza dozzina di altri rimproveri con cui si puniva. Era consapevole di aver evitato l’aborto solo perché aveva paura del dolore e di morire di emorragia o di infezione, e non per rispetto alla creatura che stava portando in grembo. Tornò a esaminarsi di fronte al grande specchio del suo armadio, ma non ritrovò l’Alma di prima, la ragazza temeraria e sensuale che Ichimei avrebbe visto se fosse stato lì, bensì una donna codarda, volubile ed egoista. Le scuse erano inutili, niente mitigava la sensazione di aver perso la dignità. Parecchi anni dopo, quando amare qualcuno di un’altra razza o avere figli senza essersi sposati diventò di moda, Alma avrebbe ammesso con se stessa che il pregiudizio più radicato in lei era quello relativo alla classe sociale, che non riuscì mai a superare. Nonostante l’angoscia di quel viaggio a Tijuana, che distrusse l’illusione dell’amore e la umiliò al punto che il suo rifugio sarebbe diventato un monumentale orgoglio, non mise mai in dubbio la sua decisione di nascondere la verità a Ichimei. Confessare avrebbe significato rivelarsi in tutta la sua vigliaccheria.

Quando tornò da Tijuana, diede appuntamento a Ichimei nel motel di sempre con qualche ora d’anticipo rispetto al so-lito. Si presentò altezzosa e ben rifornita di bugie, mentre intimamente piangeva. Per la prima volta Ichimei arrivò prima di lei. La stava aspettando in una di quelle stanze sudicie, regno degli scarafaggi, che loro illuminavano con la fiamma dell’amore. Era da cinque giorni che non si vedevano e da diVerse settimane qualcosa di opaco appannava la perfezione dei loro incontri, qualcosa di minaccioso che secondo Ichimei li stava avvolgendo come una densa nebbiolina, ma a cui lei in modo superficiale non dava importanza, accusando Ichimei di farneticare a causa della gelosia. Ichimei notava qualcosa di diverso in lei, era ansiosa, parlava troppo e molto in fretta, nel giro di pochi minuti cambiava d’umore e passava dalla civetteria e dalle affettuosità a un silenzio sprezzante o a una stizza inspiegabile. Si stava allontanando emotivamente, non c’era dubbio, anche se la sua brusca passione e la veemenza con cui raggiungeva ripetutamente l’orgasmo indica. vano il contrario. A volte, quando riposavano abbracciati dopo aver fatto l’amore, lei aveva le guance umide. “Sono lacrime d’amore”, ma a Ichimei, che non l’aveva mai vista piangere, sembravano lacrime di disillusione, come peraltro le acrobazie sessuali gli sembravano un tentativo di distrarlo. Con la sua atavica discrezione cercò di sondare cosa stesse succedendo ad Alma, ma lei rispondeva alle sue domande con una risata burlona o con provocazioni da sgualdrina che, nonostante avessero intenzioni scherzose, lo infastidivano. Alma svicolava come una lucertola. In quei cinque giorni di separazione, che lei giustificò con un viaggio obbligato di famiglia a Los Angeles, Ichimei entrò in uno dei suoi periodi di raccoglimento interiore. Durante quella settimana continuò a lavorare la terra e a coltivare fiori con l’abnegazione abituale, ma i suoi movimenti erano quelli di un uomo ipnotizzato. Sua madre, che lo conosceva meglio di chiunque altro, si astenne dal fare domande e si incaricò di portare il raccolto ai fiorai di San Francisco. Nel silenzio e nella quiete, chino sulle piante, con il sole alle spalle, Ichimei si abbandonò ai suoi presentimenti, che raramente lo ingannavano.

Alma lo vide nella luce di quella stanza a ore, filtrata dalle tende lise, e torno a sentire nelle viscere lo squarcio della colpa. Per un brevissimo istante provò odio per quell’uomo che obbligava a confrontarsi con la versione più disprezzabile di se stessa, ma subito dopo fu investita dall’ondata di amore e di desiderio che sempre sperimentava in sua presenza. Ichimei, in piedi vicino alla finestra, in attesa di lei, con la sua imperturbabile forza interiore, la sua assenza di vanità, la sua dolcezza e la sua delicatezza, la sua espressione serena

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“Per sempre è molto tempo, Alma. Penso che ci incontreremo di nuovo in circostanze migliori o in altre vite, disse Ichimei cercando di mantenere la sua serenità, ma una gelida tristezza gli traboccò dal cuore, spezzandogli la voce.

Si abbracciarono indifesi, orfani d’amore. Ad Alma si piegarono le ginocchia e fu sul punto di crollare contro il petto saldo dell’amante, di confessargli tutto, perfino le cose più recondite della sua vergogna, di supplicarlo che si sposassero e andassero a vivere in una capanna dove crescere figli meticci e di promettergli che sarebbe stata una moglie sottomessa e avrebbe rinunciato ai suoi dipinti su seta e al benessere di Sea Cliff e al futuro splendente che le spettava per nascita, avrebbe rinunciato anche a molto di più solamente per lui e per l’amore eccezionale che li univa. Probabilmente Ichimei intuì tutto ciò ed ebbe la bontà di impedirle quella mortificazione chiudendole la bocca con un bacio casto e breve. Tenendola abbracciata, la condusse verso la porta e da li alla sua automobile. La baciò ancora una volta sulla fronte e si diresse verso il suo furgone da giardinaggio, senza voltarsi indietro per un ultimo sguardo.

11 luglio 1969

Il nostro amore è inevitabile, Alma. L’ho sempre saputo, ma per anni mi ci sono ribellato e ho cercato di strapparti dai miei pensieri, visto che dal mio cuore non potrei mai. Quando mi lasciasti senza darmi spiegazioni, non lo capii. Mi senti ingannato. Ma durante il mio primo viaggio in Giappone ebbi modo di calmarmi e fini con l’accettare di averti perso in questa vita. Smisi di fare inutili congetture riguardo a ciò che era successo tra di noi. Non mi aspettavo che il destino ci riunisse di nuovo. Adesso, dopo quattordici anni di lontananza, dopo aver pensato a te ogni giorno di questi quattordici anni, capisco che non saremo mai marito e moglie, ma che non possiamo nemmeno rinunciare a ciò che proviamo così intensamente. Ii invito a vivere la nostra storia in una bolla, in modo che sia protetta dal contatto col mondo e preservata intatta, per il resto delle nostre vite e oltre la morte. Da noi dipende che l’amore sia eterno,

Ichi

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“Sst, Alma. Non facciamo promesse che forse non riusci remo a mantenere. Percorriamo insieme questa strada, passo dopo passo, giorno dopo giorno, con le migliori intenzioni. E l’unica promessa che ci possiamo fare.”

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l’incontro fra due anime destinate a ritrovarsi ripetutamente nel corso de tempo, ma mentre lui abbracciava questa certezza meravigliosa, lei progettava di sposarsi con un altro.

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2 agosto 1994

A vivere nell’incertezza, senza sicurezze, senza programmi né mete, lasciandomi trasportare come un uccello sospinto dalla brezza, ecco cosa ho imparato nei miei pellegrinaggi. Ti stupisce che a sessantadue anni possa partire di nuovo all’improvviso per vagare senza itinerario né bagaglio, come un ragazzo in autostop, che me ne vada per un tempo imprecisato e non ti chiami né ti scriva e che al ritorno non ti possa dire dove sono stato. Non c’è nessun segreto, Alma. Cammino, tutto qua. Per sopravvivere ho bisogno di pochissimo, quasi nulla. Ah, la libertà!

Me ne vado, ma ti porto sempre con me nel ricordo.

Ichi

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“Ti aspettavo, Alma. Sei in ritardo,” disse Lenny.

“La vita è troppo breve per poter essere puntuali,” rispose lei con un sospiro.

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Quest’amicizia, ritrovata tardi e assaporata come un vino pregiato, vivacizzava una realtà che per entrambi si stava inesorabilmente stingendo. Alma era di temperamento talmente solitario che non si era mai resa conto della sua solitudine. Era vissuta inglobata nella famiglia Belasco, sotto la protezione degli zii, nella grande casa di Sea Cliff, mandata avanti da altri – dalla suocera, dal maggiordomo e dalla nuora – con l’atteggiamento di un’ospite. Ovunque si sentiva fuori contesto e diversa ma, lungi dal ritenerlo un problema, per lei era motivo di un certo orgoglio, perché contribuiva all’idea che aveva di se stessa di artista schiva e misteriosa, vagamente superiore al resto dei mortali. Non aveva bisogno di mischiarsi con l’umanità, che riteneva piuttosto stupida, crudele se ne aveva l’opportunità, e sentimentale nella migliore delle ipotesi, opinioni che si guardava bene dall’esprimere in pubblico ma che nella vecchiaia si erano rafforzate.vA conti fatti, nei suoi oltre ottant’anni di vita aveva voluto bene a pochissime persone ma lo aveva fatto intensamente, le aveva idealizzate con un romanticismo talmente feroce da sfidare qualsiasi contraccolpo della realtà. Non era caduta preda di quelle infatuazioni devastanti dell’infanzia e dell’adolescenza, aveva frequentato l’università rimanendo isolata, aveva viaggiato e lavorato da sola, non aveva avuto soci né compagni, ma soltanto subalterni; aveva sostituito tutto ciò con l’amore ossessivo per Ichimei Fukuda e con l’amicizia esclusiva con Nathaniel Belasco, che non ricordava in veste di marito quanto, piuttosto, come il suo più intimo amico. Nell’ultimo periodo della sua vita poteva fare affidamento su Ichimei, il suo amante leggendario, sul nipote Seth e su Iri-na, su Lenny e Cathy che, dopo così tanti anni, erano quanto di più simile a degli amici avesse; loro la strappavano alla noia, uno dei flagelli della vecchiaia. Il resto della comunità di Lark House era come il paesaggio della baia: lo contemplava da lontano, senza bagnarsi i piedi. Per mezzo secolo aveva fatto parte della cerchia della San Francisco bene, la si vedeva all’Opera, in occasione degli eventi di beneficenza e degli appuntamenti sociali obbligatori, protetta da quell’insormontabile distanza che frapponeva sin dal primo saluto. Raccontò a Lenny Beal che trovava fastidiosi il rumore, le chiacchiere banali e le manie delle persone; e che soltanto una generica empatia per l’umanità afflitta la salvava dall’essere una psicopatica. Era facile provare compassione per gli infelici che non conosceva. Non le piaceva la gente, preferiva i gatti. Le persone le sopportava solo a piccole dosi, più di tre le risultavano indigeste. Aveva sempre evitato i gruppi, i circoli e i partiti politici, non si era mai battuta per nessuna causa, benché in linea di massima ne approvasse alcune, come il femminismo, i diritti civili e la pace. “Non scendo in piazza a difendere le balene per non mescolarmi con gli ecologisti,” diceva. Non si era mai sacrificata per un’altra persona o per un ideale, l’abnegazione non era uno dei suoi pregi. Fatta eccezione per Nathaniel, durante la malattia, non aveva mai dovuto accudire nessuno, nemmeno suo figlio. La maternità non era stata quel ciclone di venerazione e ansia che si presume le donne sperimentino, bensì un affetto tranquillo e regolare. Larry era una presenza solida e incondizionata nella sua vita, provava per lui un amore fatto di cieca fiducia e consolidate abitudini, un sentimento comodo che le richiedeva pochissimo. Aveva ammirato e voluto bene a Isaac e a Lillian Belasco, che aveva continuato a chiamare zio e zia anche dopo che erano diventati suoi suoceri, ma non era stata minimamente contagiata dalla loro bontà e dalla loro vocazione al servizio.

“Per fortuna la Fondazione Belasco si dedica alla cura di aree verdi e non a prestare aiuto a mendicanti o orfani, così sono riuscita a fare qualche buona azione senza avvicinarmi ai beneficiati,” confessò a Lenny.

“Dai, Alma! Se non ti conoscessi, penserei che sei un mostro di egocentrismo. »

“Se non lo sono, lo devo a Ichimei e a Nathaniel, che mi hanno insegnato a dare e a ricevere. Senza di loro, sarei stata presa dall’indifferenza.

“Molti artisti sono introversi, Alma. Ci si deve poter astrarre per creare,” disse Lenny.

“Non cercare scuse. Il fatto è che quanto più invecchio, tanto più mi piacciono i miei difetti. La vecchiaia è il momento migliore per essere e per fare ciò che si desidera. Tra poco non mi sopporterà più nessuno. Dimmi, Lenny, hai qualche rimpianto?”

“Naturalmente. Rimpiango le follie che non ho fatto, rimpiango di aver smesso di fumare e bere Margarita, di essere vegetariano e di essermi ammazzato di attività fisica. Mori-rO comunque, ma in forma smagliante,” rise Lenny.

“Non voglio che tu muoia…

“Neanch’io, Purtroppo non è possibile scegliere.”

“So che c’è stato un periodo in cui bevevi come una spugna.”

“Bevevo tanto, credo, per non pensare. Ero iperattivo, a malapena potevo stare seduto per tagliarmi le unghie dei pie-di. Da giovane ero un animale gregario, sempre attorniato da rumore e da gente, ma mi sentivo comunque solo. A forgiare il mio carattere è stata la paura della solitudine, Alma. Avevo bisogno di essere accettato e amato.”

“Parli al passato. Non è più così?”

“Sono cambiato. Ho trascorso la gioventù a caccia di approvazione e avventure finché non mi sono innamorato per davvero. Poi, mi si è spezzato il cuore e per dieci anni ho cercato di raccoglierne i frantumi.”

“Ci sei riuscito?”

“Diciamo di sì, grazie a uno smörgasbord di psicologia: terapia individuale, di gruppo, Gestalt, biodinamica, insomma, qualsiasi cosa a portata di mano, persino la terapia dell’urlo.”

“Cosa diavolo è?”

«Mi chiudevo con la psicologa a gridare come un forsennato e a prendere a pugni un cuscino per cinquantacinque minuti.”

“Non ti credo.”

“Te lo giuro. E pagavo per farlo, pensa. Sono stato in terapia per anni. E stato un cammino irto di difficoltà, Alma, ma ho imparato a conoscermi e a guardare in faccia la mia solitudine. Non mi spaventa più.”

“Qualcosa di simile sarebbe stato di grande aiuto per me e Nathaniel, ma non ci venne in mente. Nel nostro mondo non si usava. Quando la psicologia è diventata di moda, per noi era ormai tardi.”

Improvvisamente, le confezioni di gardenie anonime che Alma riceveva il lunedì non vennero più recapitate, proprio nel momento in cui l’avrebbero rallegrata di più, ma lei non sembrò accorgersene. Dall’ultima fuga, usciva pochissimo.

Se non fosse stato per Irina, Seth, Lenny e Cathy che la strappavano all’inattività, si sarebbe reclusa come un eremita.

Venne meno l’interesse per la lettura, per le serie televisive, per lo yoga, per l’orto di Victor Vikashev e per gli altri impegni che prima riempivano le sue ore. Mangiava controvoglia e, se non fosse stato per l’occhio vigile di Irina, avrebbe potuto passare giorni interi nutrendosi di mele e bevendo tè verde. Non confidò mai a nessuno che spesso il cuore prendeva a battere all’impazzata, le si annebbiava la vista e che si confondeva nelle incombenze più semplici. La casa che prima si adattava alla perfezione alle sue esigenze, divenne più gran-de, la disposizione degli spazi mutò e quando pensava di trovarsi davanti alla porta del bagno, era invece nel corridoio dell’edificio, che si era allungato e ingarbugliato in tal modo che stentava a trovare la sua porta, erano tutte uguali; il pavimento s’increspava e doveva appoggiarsi alle pareti per non cadere; gli interruttori della luce non erano più al loro posto e al buio non riusciva a trovarli; spuntavano nuovi cassetti e ripiani dove si smarrivano gli oggetti quotidiani; le fotografie si scompigliavano negli album senza che nessuno le avesse toccate. Non trovava nulla, la donna delle pulizie o Irina le nascondevano le cose.

Sapeva benissimo che era improbabile che l’universo le stesse giocando qualche brutto tiro; la cosa più plausibile era che non le arrivasse abbastanza ossigeno al cervello. Si affacciava alla finestra per fare qualche esercizio di respirazione imparato su un manuale della biblioteca, ma rimandava la visita dal cardiologo, che Cathy le aveva consigliato, fedele al proprio convincimento che, con il passar del tempo, quasi tutti gli acciacchi guariscono da sé.

Avrebbe compiuto ottantadue anni, era vecchia, ma si rifiutava di varcare la soglia dell’anzianità. Non aveva intenzione di sedersi all’ombra degli anni con lo sguardo perso nel vuoto e la mente rivolta a un ipotetico passato. Era caduta un paio di volte, ma se l’era cavata con qualche livido; era giunto il momento di accettare che, di tanto in tanto, qualcuno la dovesse sorreggere per il gomito per aiutarla a camminare, ma alimentava con qualche briciola i residui di vanità rimasti e combatteva la tentazione di lasciarsi andare a una facile pigrizia. Inorridiva all’idea di doversi trasferire al secondo livello dove non avrebbe avuto privacy e badanti mercenarie l’avrebbero assistita nei suoi bisogni più personali. “Buonanotte, Morte,” diceva prima di addormentarsi con la vaga speranza di non risvegliarsi; sarebbe stato il modo più elegante di an-darsene, paragonabile soltanto all’addormentarsi per sempre. fra le braccia di Ichimei dopo aver fatto l’amore. In realtà, non credeva di meritare tale regalo; aveva avuto una vita comoda e senza problemi, e non c’era ragione per cui anche la sua fine lo fosse. Si era scrollata di dosso la paura della morte trent’anni prima, quando era giunta come un’amica a portarsi via Nathaniel. Lei stessa l’aveva chiamata e glielo aveva consegnato tra le braccia. Non ne parlava con Seth, che la accusava di essere morbosa, ma con Lenny tornava spesso su questo argomento; speculavano a lungo sulle possibilità dell’aldilà, sull’ eternità dello spirito e sugli spettri inoffensivi che tenevano loro compagnia. Con Irina poteva parlarsi qualsiasi cosa, lei aveva il dono dell’ascolto, ma alla sua età nutriva ancora l’illusione dell’immortalità e non riusciva a entrare in perfetta sintonia con i sentimenti di chi ha già percorso quasi tutto il suo cammino. La ragazza non poteva immaginare quanto coraggio servisse per invecchiare senza spaventarsi troppo; la sua conoscenza dell’età era teorica. Altrettanto teorico era il materiale pubblicato sulla cosiddetta terza età, quei libracci petulanti e quei manuali di auto-aiuto della biblioteca, scritti da gente che vecchia non era. Anche le due psicologhe di Lark House erano giovani. A dispetto di tutti quei diplomi conseguiti, cosa potevano sapere di tutto quel che si perde? Facoltà, energia, indipendenza, luoghi, gente. Anche se, a dire il vero, a mancarle non era la gente, ma soltanto Nathaniel. Vedeva i parenti quanto bastava ed era loro grata delle visite non troppo frequenti. Sua nuora era dell’opinione che Lark House fosse un deposito di anziani comunisti e di fumatori di marijuana. Preferiva sentirli al telefono e incontrarli nell’ambiente più confortevole di Sea Cliff oppure durante le passeggiate, quando si degnavano di portarla fuori. Non aveva di che lamentarsi, la sua piccola famiglia, formata soltanto da Larry, Doris, Pauline e Seth, non l’aveva mai delusa. Non faceva parte della schiera di vecchi abbandonati, come tanti a Lark House.

*

“Perché non mi racconti tutta la storia, nonna? Non ho la stoffa del detective e non ho voglia di mettermi a spiarti,» disse Seth ad Alma, pregandola.

Siccome la tazzina di tè correva il rischio di rovesciarsi nelle mani tremanti di Alma, il nipote gliela tolse e l’appoggiò sul tavolo. L’ira iniziale della donna si era dissolta per lasciar posto a una profonda spossatezza, a un intenso desiderio di sfogarsi e di confessare al nipote i propri errori, di raccontargli che dentro era ormai fossilizzata e che stava morendo a poco a poco, comunque nel momento giusto, perché non sopportava più la stanchezza e sarebbe morta contenta e innamorata. Cos’altro si poteva chiedere a ottant’anni e passa, dopo aver tanto vissuto, amato e ingoiato lacrime?

“Chiama Irina. Non voglio dover ripetere il racconto,” disse a Seth.

*

La passione è universale ed eterna nel corso dei secoli, disse, ma le circostanze e i costumi cambiano in continuazione e a sessant’anni di distanza era difficile comprendere gli ostacoli insuperabili in cui si dovettero imbattere in quegli anni.

*

Lei e Ichimei si soffocarono d’amore per consumarlo interamente, ma quanto più cercavano di esaurirlo, più violento si faceva il desiderio, e chi sostiene che il fuoco, prima o poi, si spegne da solo, sbaglia: ci sono passioni che divampano come incendi fino a quando il destino non le soffoca con una zampata, ma anche in questi casi rimangono braci calde pronte ad ardere nuovamente non appena ritrovano l’ossigeno.

*

Pianse credendo di farlo per il bambino morto e per Alma, ma piangeva per sé, per la sua vita misurata e convenzionale, per il peso delle responsabilità che non sarebbe mai riuscito a scrollarsi di dosso, per la solitudine che lo attanagliava sin dalla nascita, per l’amore cui anelava e che non avrebbe mai avuto, per le brutte carte che aveva pescato e per tutti i maledetti imbrogli del suo destino.

*

Alma doveva le sue conoscenze sull’amore carnale e sul suo corpo a Ichimei che riusciva a sopperire alla sua inesperienza con un intuito insuperabile, quello stesso che gli consentiva di far rivivere una pianta malinconica. Nel motel degli scarafaggi, Alma era stata uno strumento musicale nelle mani amorose di Ichimei. Con Nathaniel le cose andarono molto diversamente. Fecero l’amore di fretta, turba-ti, impacciati, come due studenti che marinano la scuola, senza concedersi il tempo di scrutarsi a vicenda, di fiutarsi, di ridere o di sospirare insieme; poi vennero presi da un’angoscia inspiegabile che cercarono di dissimulare fumando in silenzio, coperti dal lenzuolo nella luce giallognola della luna che li spiava dalla finestra.

*

Le era costato molto riprendersi dall’amore represso a forza e temeva che sentire la sua voce, anche solo per un istante, l’avrebbe fatta naufragare di nuovo nella stessa passione ostinata di un tempo. Durante gli anni trascorsi da allora, i sensi si erano assopiti; oltre a superare l’ossessione nutrita per Ichimei, era riuscita a trasferire nei suoi pennelli la sensualità sperimentata con lui e mai provata con Nathaniel.

*

Il dolore per la perdita che fino a quel momento non aveva ancora percepito perché, come tutta la famiglia Belasco, era ancora sconvolta, la colpì in pieno. Le si inumidirono gli occhi, ma ingoiò le lacrime e i singhiozzi che da giorni lottavano per sfuggire al suo control-lo. Vide che Delphine la stava osservando con la stessa intensità con cui lei l’aveva studiata qualche minuto prima. Le parve di cogliere negli occhi limpidi della donna un’espressione di intelligente curiosità, come se sapesse esattamente che ruolo lei aveva avuto nel passato di Ichimei. Si sentì indifesa e un po’ ridicola.

*Quella buona signora non la smetteva di impicciarsi della loro vita e chiedere, con una certa frequenza, se erano innamorati, ma lungi dall’esserne infastiditi, trovavano deliziosa quella sua prerogativa. Se Alma si trovava a San Francisco, i coniugi facevano in modo di stare insieme un momento la sera per bere qualcosa e per raccontarsi i dettagli della giornata. Brindavano ai successi di entrambi e nessuno dei due domandava più dello stretto necessario, quasi temendo che una confidenza inopportuna potesse mandare all’aria in un istante il delicato equilibrio del loro rapporto. Accettavano di buon grado che l’altro avesse un suo mondo segreto e ore private di cui non doveva rendere conto a nessuno. Le omissioni non erano bugie. Siccome gli incontri amorosi tra loro due erano così poco frequenti da potersi considerare inesistenti, Alma pensava che suo marito frequentasse altre don-ne, perché era assurda l’idea di una vita trascorsa nel segno della castità. Nathaniel aveva comunque rispettato l’accordo di essere discreto e di evitarle umiliazioni. Quanto a lei, si era concessa qualche infedeltà durante i viaggi in cui le occasioni non mancavano, bastava che lasciasse intendere qualcosa e, in genere, registrava qualche reazione; ma questi sfoghi le procuravano meno piacere di quanto sperava e la lasciavano sconcertata. Era giunta a un’età in cui poteva avere una vita sessuale attiva, pensava, cosa importante per il benessere e la salute quanto l’attività fisica e una dieta equilibrata, e non doveva consentire al suo corpo di avvizzire. In tale prospetti-va, la sessualità finiva col diventare un dovere ulteriore invece di un regalo per i sensi. Per lei, l’erotismo richiedeva tempo e fiducia, e non lo trovava facilmente in una notte d’amore fasullo o meccanico con uno sconosciuto che non avrebbe mai più rivisto. In piena rivoluzione sessuale, nella stagione dell’amore libero, quando in California si praticava lo scambio di coppia e quando metà dell’universo andava a letto indiscriminatamente con l’altra metà, lei non smetteva di pensare a Ichimei. Più di una volta si chiese se non fosse una scusa per nascondere la sua frigidità ma quando, finalmente, rivide Ichimei, non si pose mai più tale domanda e smise di cercare consolazione nelle braccia di estranei.

12 settembre 1978

Mi hai spiegato che dalla quiete nasce l’ispirazione e che dal movimento scaturisce la creatività. La pittura è movimento, Alma, ecco perché mi piacciono così tanto i tuoi disegni recenti, sembrano eseguiti senza sforzo, benché sappia di quanta quiete interiore ci sia bisogno per raggiungere quella tua padronanza del pennello. Mi piacciono particolarmente i tuoi alberi autunnali che lasciano cadere le foglie con grazia. Ed è proprio così che desidero liberarmi delle mie foglie in questo autunno della vita, con facilità ed eleganza. Perché attaccarsi a qualcosa che comunque perderemo? Probabilmente mi sto riferendo alla giovinezza, così presente nelle nostre conversazioni.

Giovedì ti preparerò un bagno con i sali e le alghe marine che ho ricevuto dal Giappone.

Ichi

*

Terrorizzata, Alma capì quanto amava e quanto aveva bisogno di Nathaniel e si accinse a dichiarare guerra alla malattia, al destino, agli dèi e ai demoni. Abbandonò quasi tutto pur di dedicarsi esclusivamente ad accudirlo. Smise di dipin-gere, licenziò i dipendenti del laboratorio e prese ad andarci soltanto una volta al mese per controllare gli addetti alla pulizia. L’enorme studio, illuminato dalla luce soffusa del vetro opaco delle finestre, sprofondò in una quiete da cattedrale. Il movimento cessò da un giorno all’altro e il laboratorio rimase fermo nel tempo, come in un trucco cinematografico, pronto a riprendere il minuto successivo, le lunghe tavole protette da lenzuola, i rotoli di tela sistemati in piedi come snelli guardiani e quelle già dipinte ancora sui telai, i campioni di colori e disegni alle pareti, barattoli e flaconi, rulli, pennelli e pennellesse, il mormorio fantasmagorico della ventilazione che spargeva perennemente l’odore penetrante della pittura e del solvente. Cessarono i viaggi che per anni erano stati per lei fonte di ispirazione e di libertà. Quando era lontana da casa, Alma cambiava pelle per rinascere fresca, curio-sa, pronta all’avventura, aperta a quanto il giorno poteva offrirle, senza programmi né timori. Questa Alma girovaga era talmente reale che, talvolta, lei stessa si sorprendeva nel vedersi negli specchi degli hotel perché non si aspettava di trovare lo stesso volto che aveva a San Francisco. Smise anche di vedere Ichimei.

*

La conversazione di protrasse ininterrottamente per tre ore, avevano tutto da raccontarsi e lo fecero con incertezza e cautela, senza cadere nel passato, come se stessero scivolando su una lastra di ghiaccio sottilissima, scrutandosi, prendendo atto dei cambiamenti, cercando di indovinare le reciproche intenzioni consapevoli che l’impetuosa attrazione era rimasta intatta. Entrambi avevano compiuto trentasette anni; lei ne dimostra: va di più, i suoi tratti si erano accentuati, era più magra, spigolosa e sicura di sé, mentre Ichimei non era cambiato, aveva lo stesso aspetto da adolescente sereno di sempre, il medesimo tono di voce basso e i modi delicati, la stessa capacità di invadere fino all’ultima delle cellule di lei con la sua intensa pre-senza. Alma poteva rivedere il bambino di otto anni nella serra di Sea Cliff, quello di dieci che le aveva consegnato un gatto prima di sparire, l’amante instancabile del motel degli scarafaggi, l’uomo vestito a lutto al funerale del suocero, tutti uguali, come immagini sovrapposte su carta trasparente.

Ichimei era immutabile, eterno. L’amore e il desiderio che nutriva per lui le incendiarono la pelle, provava l’impulso di allungare le mani sulla tavola per toccarlo, di avvicinarsi a lui, di affondare il naso sul suo collo per constatare che sapeva ancora di terra e di erba, di dirgli che senza di lui viveva come una sonnambula, che nulla e nessuno poteva colmare il terribile vuoto della sua assenza, che avrebbe dato tutto per poter ritrovarsi di nuovo nuda fra le sue braccia, nulla aveva importanza se lui non c’era. Ichimei la accompagnò alla macchina. Camminarono lentamente, deviando qua e là per ritardare il momento della separazione. Presero l’ascensore per raggiungere il terzo livello del parcheggio, lei estrasse la chiave e gli propose di accompagnarlo fino alla sua macchina lasciata a un solo isolato di distanza. Lui accettò. Nell’intima penombra dell’automobile si baciarono, riconoscendosi.

Negli anni a venire, avrebbero tenuto il loro amore in un compartimento separato dal resto delle loro vite e lo avrebbero vissuto appieno senza consentire che sfiorasse né Nathaniel né Delphine. Quando erano insieme, non esisteva nient’altro, e quando si congedavano nell’hotel dove si erano saziati, erano d’accordo che non avrebbero avuto altri contatti fino all’appuntamento successivo, se non per lettera.

Alma conservava gelosamente quelle lettere anche se in esse Ichimei manteneva il tono riservato tipico della sua razza, che contrastava con le sue delicate prove d’amore e gli impeti di passione che lo coglievano quando erano insieme. Il sentimentalismo lo faceva sentire terribilmente in imbarazzo e preferiva esprimere i suoi sentimenti preparandole picnic in meravigliosi cestini, mandandole delle gardenie perché lei ne amava la fragranza, che non avrebbe mai utilizzato in una colonia, preparandole cerimoniosamente il tè oppure dedicandole poesie e disegni. Talvolta, in privato, la chiamava “piccola mia” ma non lo faceva mai per iscritto. Alma non era tenuta a dare spiegazioni al marito dal momento che conducevano vite indipendenti e non chiese mai a Ichimei come riuscisse a tenere Delphine all’oscuro di tutto, visto che convivevano e lavoravano fianco a fianco. Sapeva che lui amava sua moglie, che era un buon padre e un uomo di famiglia, che godeva di una considerazione speciale in seno alla comunità giapponese dove lo ritenevano un maestro a cui rivolgersi perché desse consigli a chi si smarriva, per riconciliare 1 nemici e per fungere da arbitro imparziale nelle dispute. L’uomo dall’amore incandescente, delle trovate erotiche, del sorriso, degli scherzi e dei giochi tra le lenzuola, dell’urgenza, dell’insaziabilità e dell’allegria, delle confidenze sussurrate fra un abbraccio e l’altro, dei baci interminabili e dell’intimità più delirante, quell’uomo esisteva soltanto per lei.

Le lettere iniziarono a giungere dopo il loro incontro fra le orchidee e si fecero più frequenti quando Nathaniel si am-malò. Durante un lasso di tempo, interminabile per loro, questa corrispondenza sostituì gli incontri clandestini. Quelle di Alma erano le lettere crude e angosciate di una donna afflitta per la loro separazione; quelle di Ichimei erano come acqua calma e cristallina, sebbene tra le righe palpitasse la passione che li univa. Per Alma quelle lettere mettevano a nudo la raffinata tappezzeria interiore di Ichimei, le emozioni, i sogni, la nostalgia e gli ideali; poté conoscerlo, amarlo e desiderarlo di più attraverso quelle missive che nelle loro scaramucce amorose. Divennero talmente indispensabili per lei, che quando rimase vedova e libera e potevano parlare al tele-fono, vedersi di frequente e persino viaggiare insieme, non smisero mai di scriversi. Ichimei tenne rigorosamente fede al patto di distruggere le lettere, Alma invece le conservò per poterle rileggerle spesso.

*

In una di quelle lunghe notti, si sorpresero entrambi a piangere in silenzio, per non disturbarsi. Alma senti le guance umide del marito e lui notò immediatamente le lacrime di lei, così rare che si sollevò per vedere se erano reali. Non ricordava di averla mai vista piangere nemmeno nei momenti più dolorosi.

“Stai per morire, vero?” sussurro lei.

“Sì, Alma, ma non piangere per me.”

“Non piango soltanto per te, ma anche per me. E per noi, per tutto quello che non ti ho detto, per le omissioni e le bugie, per i tradimenti e per il tempo che ti ho rubato.

“Ma cosa stai dicendo, santo cielo! Non mi hai tradito amando Ichimei, Alma. Ci sono omissioni e bugie necessarie come ci sono verità che è meglio tenersi dentro.”

*

In quella lenta agonia non c’era spazio per nessun tipo di bugia, si rivelarono per quel che erano da soli davanti a se stessi, allo scoperto. Malgrado ciò, o forse proprio per questo, arrivarono a voler si bene con un sentimento limpido e disperato che richiedeva una separazione, perché non sarebbe sopravvissuto all’ineluttabile logorio della quotidianità.

*

Sentì che qualcosa nel petto si spezzava con il suono di una giara di creta che sì rompe e che il suo cuore riconoscente cresceva, si allargava, palpitava come un anemone trasparente nel mare. Di fronte a questa prova di amicizia, si sentì rispettata come ai tempi dell’innocenza; i mostri del passato iniziarono a indietreggiare e lo spaventoso potere dei video del patrigno si ridusse a ciò che era in realtà: carne in decomposizione per esseri anonimi, senza identità, né anima, per impotenti.

“Mio Dio, Kirsten. Pensa, ho trascorso più della metà della mia vita attanagliata dalla paura del nulla.

“È per te,” ripeté Kirsten indicando il contenuto dello zainetto sparso sul pavimento.

*

8 gennaio 2010

Com’è esuberante e inquieto l’universo, Alma! Gira e rigira, l’unica costante è che tutto cambia. È un mistero il fatto che si riesca a notarlo soltanto dalla quiete. Sto attraversando una tappa davvero interessante. Il mio spirito contempla affascinato i cambiamenti del mio corpo, ma non si tratta di una contemplazione da un punto di vista lontano, bensì da dentro. Il mio spirito e il mio corpo sono insieme in questo processo. Ieri mi dicevi che sentivi la mancanza dell’illusione dell’immortalità propria della giovinezza. Per me non è così. Mi sto godendo la mia realtà di uomo maturo, per non dire vecchio. Se dovessi morire nel giro di tre giorni, di cosa riempirei questi giorni? Di nulla! Mi libererei di tutto tranne che dell’amore.

Abbiamo detto spesso che amarci è il nostro destino, ci siamo amati nelle vite precedenti e continueremo a incontrarci nelle vite future. O forse non c’è né passato né futuro e tutto accade simultaneamente nelle dimensioni infinite dell’universo. In questo caso, siamo insieme costantemente, per sempre.

E meraviglioso essere vivi. Abbiamo ancora diciassette anni, Alma mia.

Ichi

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